Mi cadde in mano quel libro a casa della mia amica Cinzia, mi cadde in mano un libro con una copertina bellissima, ma che nascondeva un racconto brutto tanto quanto la protagonista: una strega dipinta di bianco.
Lessi: “La prima parola della mia vita, forse come quella che tutti imparano a dire, fu mamma. Ma quella per me non era solo una parola. Era come un segno indelebile sulla mia pelle, una cicatrice che mai sarebbe andata via. Forse anche per questo mi tatuai, in seguito, il suo nome sul petto, lì dove dimora il cuore.
Quando ero piccola, la mia mamma non aveva un nome; si chiamava solamente mamma, ma tutti gli altri all’infuori di me si ostinavano a chiamarla Angelina. Non sapevo perchè, ma la chiamavano così… Forse sapeva volare, oppure faceva i miracoli. Sì: doveva essere quello. La mia mamma faceva i miracoli! Come la volta in cui mi sbucciai il ginocchio. Lei prese un pezzo di garza, mi ci asciugò i lacrimoni, lo baciò sporcando il drappo col rossetto e me lo appoggiò sulla ferita. Funzionava! Mi passò subito il dolore e io tornai a correre sotto a quel salice in mezzo al giardino, dalle mille foglioline ondeggianti, che gridavano al mondo la propria leggiadria. Qualcosa però andò storto. La mia mamma aveva una malattia, una malattia bruttissima, che le faceva male e la faceva piangere tutte le sere. Il suo nome era cancro. Cancro e qualcos’altro. Non ricordo cosa. Meno male che a curarla, oltre alle medicine dei dottori, c’era una polverina bianca. Una polverina da respirare che dava un grande sollievo. La mia mamma respirava spesso quella polverina tanto innocente, però non voleva che guardassi mentre lo faceva, anche se io a dire la verità qualche volta sbirciavo dalle fessure delle mie manine. Poi lei mi diceva di aprire gli occhi e la vedevo più felice! Quella polverina era proprio miracolosa! Mi sembrava tanto i brillantini che hanno le fate sulle ali. Non credevo nelle fate, ma se fossero esistite, sarebbero state davvero bellissime, proprio come la mia mamma. Chissà se anche loro respiravano quella polverina per essere felici. A me comunque quella polverina non serviva. Io ero già felice e poi la mamma diceva che non la potevo usare. La tentazione era molta, ma non volevo disubbidirle, così me ne tenni alla larga. Il cancro della mamma aumentava, ma bastava che respirasse più polverina per sentirsi meglio. Cominciò a respirarne tantissima, parecchie volte al giorno. Ma quel giorno… la mamma perse i sensi, la mia mamma. Zia Margo la portò in ospedale. La mamma mi aveva parlato anche di quello: era il posto dove curavano le persone malate, e lei era molto malata, ci andava spesso in ospedale. Al dottore non aveva mai detto della polverina e quella eroica dama vestita di bianco, tanto amica della mamma, si trasformò in una strega nera e cattiva, che le portò via tutto ciò che aveva. Le rubò il respiro, il sorriso, le rubò tutto, lasciando nulla in cambio; solo una grande impronta di nostalgia sul suo viso spento. Non aveva espressioni, non aveva la solita felicità in corpo. Forse aveva respirato troppa polverina o forse troppo poca. Da quel giorno non vidi mai più la mia mamma, non vidi la sua anima, non vidi il suo amore. Non vidi niente di lei, mai più.
Odiavo quella polverina: aveva tradito la mia mamma! L’aveva ingannata! Pugnalata alle spalle!
Non l’avrei più voluta vedere, invece la rincontrai molto presto, troppo presto.
La polverina di fata venne anche da me, prima che nacque mia figlia, e mi sequestrò il mio onore, mi sequestrò il mio orgoglio e tutto il resto, proprio come era successo alla mamma. Cercavo di liberarmene, ma era più forte di me! Riusciva a trovarmi sempre e a convincermi spudoratamente. La odiavo, ma senza di lei non ero nessuno. La odiavo, ma era la mia migliore amica. Stavamo troppo tempo insieme però, troppo. Poi scoprii una cosa che si chiamava overdose. Era una malattia ancora più brutta del cancro, che ti divora da dentro e che è sempre stata dentro di te senza che lo sapessi. Mi faceva paura quella parola. Non la volevo dire. Mai.
Perchè fu per colpa di quella brutta parola che venni separata da mia figlia, dalla mia bambina indifesa. E riuscii solo a pregare che la polverina bianca candida come la neve, ma col cuore nero e raggrinzito, non trovasse anche lei.”
Capitai per sbaglio sulla pagina di quel libro, ma la curiosità fu l’ultima a morire. Non mi pento di averla letta, perchè ora posso dire: “Grazie Mamma!”.